Episodio II: Caccia all’orrore
di Filippo ZorattiPer anni l’Horror Day è stato – in modo trasversale rispetto al variegato programma delle retrospettive – uno dei punti fermi del Far East Film Festival. La sua esplosione e il suo successivo declino hanno coinciso con la scoperta e la caduta del J-Horror: titoli come “Ring” (1998), “Ju-on” (2000) e “Dark Water” (2002), assieme all’hongkongese “The Eye” (2002) hanno aperto la via ad un nuovo – sopravvalutato? – filone aurifero, come dimostrano anche gli svariati remake americani che ne sono stati tratti. È stata una fiammata, breve ma intensa, che ci ha fatto scoprire alcune “ossessioni” asiatiche fino a quel momento sconosciute, molto più che per altri generi: la presenza dell’acqua ad esempio, che per un Paese circondato dall’Oceano come il Giappone è portatrice di spavento e minaccia imminente (e il pubblico occidentale ha trovato finalmente una motivazione per la follia generata da una goccia che cade dal soffitto). Il FEFF è stato lungimirante nella sua caccia all’orrore, seminando qua e là nel corso delle edizioni qualche titolo effettivamente memorabile: “R-Point” (2004), “13-Beloved” (2006), “Body” (2007), “4bia” (2008), “Bedevilled” (2010). Poi il gioco si è rotto, complice l’altalenante produzione annuale delle singole nazioni e la sensazione che il vento iniziasse a girare altrove. Da Far East 14 (ovvero dal 2012) la giornata dedicata all’horror è stata bandita, con un meccanismo simile a quello avvenuto per il tramonto della selezione Pink Movies (il cui canto del cigno è stato l’indimenticato “The Glamorous Life of Sachiko Hanai”). A 6 anni di distanza però, con un colpo di scena inatteso, eccolo di nuovo, ribattezzato Psycho Horror Day. Introdotto idealmente dalla proiezione di “House”
e dal Gelso d’Oro alla carriera a Obayashi Nobuhiko, il focus sulla paura attinge a diverse realtà, affidandosi all’emulazione o cercando una propria originalità: nel calderone trovano spazio esorcismi alla Friedkin (“The Priest”) e mostri della montagna taiwanesi (“The Tag-Along”), cultura pop tailandese (“Senior”) e incubi d’atmosfera coreani anni ’30 (“The Silenced”). Fino alle due pellicole di punta, entrambe nipponiche: “The Inerasable” di Nakamura Yoshihiro (sceneggiatore proprio di “Dark Water”) e “Creepy” di Kurosawa Kiyoshi (passato a Berlino). Il FEFF ci riprova, rilanciando una proposta che sembrava morta e sepolta sotto il peso di molti film non all’altezza della definizione horror. Una scelta che si specchia e fa il paio da un lato con la conferma dei documentari (ce n’è uno anche nell’Horror Day: “The Lovers and the Despot”, sul rapimento del regista Shin Sang-ok da parte del dittatore nordcoreano Kim Jong-il), una delle novità più apprezzate degli ultimi anni, e dall’altro con la new entry della piccola selezione “China Now”, che ci immerge nella realtà dei film cinesi destinati a non essere diffusi oltre i confini della Repubblica Popolare. Si ritorna insomma al futuro, esplorando al contempo nuovi possibili percorsi degni di approfondimento culturale. Se c’è un motivo per cui (da spettatori, studiosi, cinefili) occorre essere grati per il lavoro svolto dal Far East Film Festival in questi 18 anni è proprio questo: la capacità di mostrare al pubblico una summa di tutto ciò che anno dopo anno è – o ritorna ad essere – attuale nello sconfinato continente asiatico.
Filippo Zoratti
trailer del festival