TFF 2013 Prima Puntata: Virzì, atto primo
di Filippo ZorattiCome sarà il Torino Film Festival del neo-direttore artistico Paolo Virzì? Sarà tradizionalista o più apertamente pop? Ricalcherà il segno lasciato dai predecessori Nanni Moretti e Gianni Amelio o sterzerà verso una visione dell’industria Cinema più simile alla cultura e allo stile del regista livornese? Chi, nei giorni precedenti all’inizio della kermesse, ha cercato di “leggere” il ricchissimo programma interpretandone i segni, s’è trovato davanti una quantità – e qualità – di sollecitazioni di non immediata e univoca comprensione. Lui, il cineasta divenuto a sorpresa responsabile artistico, sembra mettere subito le mani avanti: “Voglio capire come andrà questa edizione, e poi decidere se continuare o meno. Dopotutto, fare il direttore non è il mio mestiere”. Del resto, smuovere la fortissima e consolidata identità di un evento come quello torinese (che per regolamento accetta in gara solo opere prime e seconde) non è impegno da poco. E non è da poco neanche mettere a frutto i “soli” due milioni e 400 mila euro di budget. Il primo colpo d’occhio è tutto per la titanica retrospettiva sulla New Hollywood, talmente articolata da durare due edizioni: da “Gangster Story” a “L’ultimo spettacolo”, da “Easy Rider” ad “Un uomo da marciapiede”, fino a “Woodstock” e “Pat Garrett e Billy the Kid”. Il piatto è ricchissimo (36 titoli) e Virzì non nasconde la sua emozione nel poter presentare sotto la sua egida le opere che hanno segnato la propria generazione. Torino conservatrice quindi? Mica tanto, dato che dall’altra parte della barricata spunta la nuova sezione “Big Bang Tv”, dedicata alla davvero non più trascurabile serialità televisiva. Dopo Venezia, Cannes e Sundance, anche il TFF si apre a miniserie e pilot d’autore: “House of Cards”, prodotta da David Fincher e interpretata da un luciferino Kevin Spacey; “Top of the Lake”, scritta da Jane Campion; “Southcliffe”, lavoro britannico già passato a Toronto. L’idea di fondo è quella di mantenere viva l’anima più cinefila insita nel dna della manifestazione, aprendo però all’innovazione tecnologica e all’entertainment vivace, come dimostra anche la scelta del film di apertura, ricaduta sul goliardico “Last Vegas”. La trentunesima edizione (ancora nelle parole del direttore) sulla carta si propone come un unico grande film fatto di voci diverse. Tantissime voci – pure troppe? – considerando l’importanza delle sezioni “Festa Mobile”, che per qualcuno è il vero concorso, e “Onde”, che ospiterà fra gli altri il vincitore del Festival di Locarno “Storia della mia morte” di Albert Serra, “Hotel del l’Univers” di Tonino De Bernardi e l’ormai imprescindibile cinematografia greca, con “Luton” e “To the Wolf”. E la gara ufficiale? C’è, ma come ogni anno corre forse il rischio di restare schiacciata dal resto delle proposte. L’attesa più significativa è per l’esordio alla regia di Pif, “La mafia uccide solo d’estate”, ma gli sguardi sono anche puntati sul già favorito “La battaglia di Solferino”, sullo spagnolo “L’infestazione – The Plague” e su “Pelo Malo”, vincitore dell’ultimo Festival di San Sebastian. A riunire tradizione e innovazione dunque c’è uno spirito vivace e aperto alle contaminazioni, che addirittura comprenderà spettacoli di strada e concerti, con la BandaKadabra che suonerà per la città. Torino sembra muoversi all’opposto dell’acerrima nemica Roma, che con Marco Muller pare aver intrapreso un nuovo percorso più “serio” e compito. Virzì porta al Torino Film Festival una ventata di leggerezza (che non significa superficialità) e vitalità. Un ottimo proposito, che tuttavia non deve assolutamente mettere in secondo piano il cuore pulsante dell’evento: i film.
Filippo Zoratti