Episodio I: Il prezzo della maturità
di Filippo Zoratti
Per segnalare il passaggio alla maggiore età, il Far East – con la solita dose di autoironia – ha scelto come gadget “di lancio” una patente di guida, con tanto di vidimazioni e conferme di validità. Ma a 18 anni un festival diventa davvero maggiorenne? Nel caso dell’evento friulano ci si può da un lato stupire della lungimiranza di un progetto nato in sordina nel 1999 (il glorioso Hong Kong Film Festival, l’anno zero che ha gettato le basi di tutto), e dall’altro rendersi perfettamente conto di come il Feff – oltre ad essere oramai radicato nel territorio – abbia ben piantato le proprie radici a livello nazionale. La conferma arriva dall’investitura statale ricevuta dalla manifestazione, per il rapporto fra le industrie di Oriente e Occidente. Un privilegio che emancipa il Feff persino dal semplice contesto cinematografico: qua si parla di cultura tout court, di rapporti fra nazioni lontane lontane eppure accomunate dal nobile intento della divulgazione dell’arte. È il principio che regola il convegno Ties That Bind, workshop di coproduzione fra Asia ed Europa che ogni anno si affina e migliora le proprie prospettive. Il Far East è quindi oramai un gigante che può permettersi di guardare lontano, ma che deve tuttavia tenere a bada alcune fragilità insite nell’idea stessa di “evento pop(olare)”. Tra i punti di forza (e insieme, di debolezza) della proposta c’è la commistione ardita fra cinema basso e cinema alto, fra prodotto alimentare irricevibile per una platea estranea alle dinamiche panasiatiche e grande film d’autore di ampio riconoscimento festivaliero e internazionale. Chi ama il Far East Film Festival lo fa indipendentemente dal livello delle pellicole proposte, è vero, ma quando la forbice fra qualità (delle visioni) e quantità (dell’esborso) si allarga a dismisura, è lecito aspettarsi che qualcosa, nel magico equilibrio costruito pazientemente anno dopo anno, si possa rompere. A costo di apparire venali, uno dei motivi – non di certo l’unico – per cui l’edizione 18 verrà ricordata è il forte aumento dei prezzi, su qualunque tipo di accredito. Il festival orgogliosamente pop rischia così di diventare snobisticamente d’élite: il viaggetto di 10 giorni nella galassia Feff inizia ad assumere i connotati del privilegio per pochi, snaturando così lo spirito “autarchico” degli inizi che ha fatto innamorare migliaia di fareasters. Uno spirito comunque “falsato” – le prime edizioni erano totalmente gratuite, una follia insostenibile per qualunque kermesse –, ma che ora deve scendere a patti con una considerazione inopinabile: assistere alle proiezioni del Far East Film Festival, nel 2016, costa più che assistere a quelle della Mostra del Cinema di Venezia e della Berlinale. Ne varrà la pena? Il piatto sembra essere ricco: 72 film per 10 cinematografie, il ritorno dell’Horror Day e l’esordio della sezione “China Now”, dedicata ai film indipendenti cinesi non censurati. E ancora: la retrospettiva Beyond Godzilla, focus sul cinema sci-fi giapponese, il Gelso d’Oro a Sammo Hung (storico collaboratore di Bruce Lee e Jackie Chan) e la presenza di Johnnie To (che firma anche il trailer del festival, in animazione). Insomma: crescere, diventare adulti e autonomi ha un costo, e il Feff non ha alcuna intenzione di nasconderlo. Ora resta da capire se, anche per il pubblico, l’amore non abbia prezzo…
Filippo Zoratti