Episodio III: Il tormento e l’estasi
di Filippo Zoratti
I fareasters di lungo corso lo sanno: la caccia al capolavoro, al film (ai film?) da ricordare e mandare a memoria nei secoli dei secoli richiede pazienza e dedizione. È una ricerca spesso casuale, fondata su un ardito incrocio di suggestioni dettate da una trama accattivante, un attore/regista di richiamo, l’orario in cui la pellicola viene presentata. Ci soffermiamo su questo ultimo punto: una delle caratteristiche principali del Far East Film Festival è la sua “unicità”: ogni opera viene proiettata una sola volta, per un totale di 6/7 visioni giornaliere. Ci vuole pazienza sì, ma anche parecchia… fortuna. Il vincitore del FEFF 2016 è “A Melody to Remember”, delicata e toccante epopea sudcoreana che intreccia war drama e spunto tratto da una storia vera, vicenda sovranazionale e ritratto di singoli umanissimi personaggi. Problema: l’international premiere è stata “avvistata” domenica alle 9.15 di mattina, alla presenza di una ristretta parte di spettatori paganti. Le manifestazioni che si affidano al voto del pubblico – da qualche anno lo fa anche la Festa del Cinema di Roma – incorrono per forza di cose in questi cortocircuiti “popolari”, in una cronica sproporzione fra quantità e qualità. Al Far East capita da tre edizioni (
FEFF16, “The Eternal Zero”; FEFF17, “Ode to My Father”), oppure spesso accade che sull’onda dell’entusiasmo trionfi un film dell’ultimo giorno (FEFF12, “Castaway on the Moon”; FEFF13, “Aftershock”; FEFF15, “How to Use Guys with Secret Tips”). Al di là delle considerazioni statistiche, che pur meriterebbero un approfondimento, urge confermare come oramai le certezze arrivino quasi sempre dal Giappone e dalla Corea del Sud, evidentemente le due cinematografie più trasversali e in grado di captare il gusto della platea. Se per quanto riguarda il Paese del Sol Levante si tratta perlopiù di una conoscenza pregressa (i costumi nipponici esondano dai propri confini, grazie ai manga/anime e ad una certa reciproca influenza con il cinema americano), con la
Repubblica di Corea la buona ricezione avviene in virtù di una mistura di prodotto mainstream “riempi sala” e inedita – a volte stravagante – riflessione socio-culturale. In questa definizione rientrano il vincitore del MyMovies Award “Bakuman”, storia di due ragazzi che ambiscono a scrivere
manga per la più autorevole casa editrice giapponese, e il secondo classificato “Sori:Voice from the Heart”, che fonde fantascienza alla Spielberg e anomalo melò coreano. Titoli da estasi (a cui si aggiunge il Black Dragon Award “Mohican Comes Home”, il migliore in assoluto per il sottoscritto), che controbilanciano il tormento delle molte aspettative tradite, categoria eterogena che fra gli altri annovera l’action di apertura “The Tiger”, il wannabe-psycho-thriller “Creepy” di Kiyoshi Kurosawa e il dramma della gelosia “A Break Alone”, esordio alla regia di uno dei più fidati collaboratori di Kim Ki-duk, Cho Jae-hyun. Si ritorna così ad uno degli eterni dilemmi del Far East Film Festival: il giochino di diastole e sistole, di apertura e chiusura verso l’altromondo asiatico, continua a valere la candela? Ci affidiamo al motto del sopraccitato “Bakuman”, sperando non si esaurisca – anche per gli organizzatori – ancora per molte annate: “amicizia, sacrificio e trionfo”!
Filippo Zoratti