All’Ombra della Mole Appunti sul 28. Torino Film Festival Prima Puntata di Filippo Zoratti

All’Ombra della Mole
Appunti sul 28. Torino Film Festival Prima Puntata

di Filippo Zoratti

 

 

Sfogliando il (corposo) programma del 28. Torino Film Festival la prima cosa che balza all’occhio è la varietà della proposta. Un’eterogeneità intelligente, che accoglie dentro di sé una ricerca e una curiosità capillare verso i generi, i modi di fare cinema, il multiculturalismo spaziale e temporale.

I due anni di reggenza di Nanni Moretti (edizioni 25 e 26, quella del capolavoro Tony Manero di Pablo Larrain) hanno ridato lustro pubblicitario alla kermesse, che è un bene. Anche se ora il rovescio della medaglia è una minore risonanza e attenzione nei confronti del nuovo direttore Gianni Amelio. Ed è un peccato, perchè Amelio (assieme al vice direttore Emanuela Martini e ai suoi consulenti per la selezione Alberione, Bocchi, Grespi, Morreale, Pedroni) sta lavorando bene. Anzi, meglio, rispetto alle attese iniziali. Il suo TFF è indipendente e slegato dai giochi di potere, alla ricerca dell’autosufficienza e della maggior autonomia possibile per crearsi la propria nicchia e stabilire le proprie inconfondibili caratteristiche nel panorama italico.

 

A ben pensarci è forse proprio la lontananza dai riflettori, dal gossip e dai tappeti rossi – ripudiati in nome di più cinefili e colti “incontri” con registi e attori – a fare la forza di Torino, a renderla un’isola felice e autarchica (ricordando ancora una volta Moretti).

    

L’evento sabaudo apre col francese Contre Toi di Lola Doillon, dramma d’interni interpretato da una gigantesca Kristin Scott Thomas, e chiude con l’anteprima italiana di Hereafter, ultima fatica romantica ed inaspettatatamente sovrannaturale del maestro Clint Eastwood. In mezzo ai due estremi scorre il fiume, anzi i fiumi delle varie sezioni: Festa Mobile, sorta di “fuori concorso” che quest’anno ospita gli ultimi attesi lavori di Danny Boyle (127 Hours), Gregg Araki (Kaboom, già passato a Cannes) e Mathieu Amalric (il malinconico Tournée), oltre all’esordio alla regia di Philip Seymour Hoffman (Jack Goes Boating) e al già (s)cult Burlesque, con Cher e Christina Aguilera; Rapporto Confidenziale, focus sull’horror contemporaneo che partendo da Carpenter e dal suo The Ward indagherà le ultime derive del genere con The Last Exorcism, Outcast (dove il realismo sociale di Ken Loach incontra l’orrore), l’ironico Suck e Vanishing on 7th Street di Brad “uomo senza sonno” Anderson; Figli e Amanti, breve ripasso di Storia (storie) del Cinema, dal Cineocchio vertoviano al Lungo Addio altmaniano, passando attraverso L’Angelo Sterminatore di Bunuel e il recupero di If… di Lindsay Anderson, film sulla ribellione dei giovani girato in “presa diretta” (anno domini 1968); e infine le due retrospettive, dedicate a due maestri semi-dimenticati ma imprescindibili: John Huston (di cui invero basterebbe citare il trittico Giungla d’Asfalto, L’Onore dei Prizzi e Città Amara per capire la portata dell’evento) e il russo Vitalij Kanevskij.

            

Tutto ciò senza aver ancora nominato il concorso ufficiale, i 16 film in gara di cui avremmo modo di parlare più approfonditamente nelle prossime puntate.

Rimane allora una piccola riflessione, dopo le prime due intense giornate di festival. Per comodità o pigrizia mentale l’opinione pubblica è solita collocare il Torino Film Festival sul terzo gradino del podio delle più importanti kermesse cinematografiche italiane, dopo il blasone veneziano e il glamour romano. La questione, va da sé, è tuttavia più complicata di così, anche solo ragionando in termini di anzianità: perché l’appena nato (eppure già in gravosa crisi adolescenziale) festone di Roma dovrebbe valere più del solido e adulto meeting torinese? La verità è che Torino, guastafeste del trio e lontana dall’idea canonica di “festival”, della visibilità a tutti i costi se ne frega. La verità è che l’aria che si respira a Torino non è né migliore né peggiore delle altre; è un’aria “diversa”, non omologata, da outsider. Che a chi scrive sembra, di questi tempi, il miglior complimento che le si possa fare.

 

Filippo Zoratti

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