Animazione

Uolli – Ippocastano

 
Thomas Marcuzzi, in arte UOLLI, nasce nel 1978 a Udine dove vive e lavora. Nato come grafico pubblicitario, si è poi da subito appassionato all’illustrazione e all’animazione. Nel 2003 realizza il suo primo cortometraggio dal titolo “Luci Spente” che vince il Mestre Film Festival e viene trasmesso su Coming Soon Television(SKY). Nel 2008 dirige il suo primo videoclip “Ippocastano” a metà strada tra animazione e costruzione reale di carta che viene selezionato da un importante festival dedicato ai video musicali di San Pietroburgo (MuseekFestival) dove gareggia insieme a videoclip dei Radiohead, Sigur Ros ecc… Negli anni a seguire realizza numerosi lavori per vari committenti in ambito culturale come il Trieste Film Festival, L’Home Page Festival, il Sexto ‘Nplugged e il Visionario realizzando sigle e campagne pubblicitarie, sviluppa alcuni importanti video promozionali anche per l’Università di Udine, il comune di Udine, Bata, e molti altri, in cui il suo stile si piega alle esigenze promozionali senza intaccare la propria libertà stilistica e il suo mondo naif. Nell’ultimo anno ha realizzato anche video musicali, film didattici e collaborato al progetto di una serie televisiva in lingua friulana. Collabora da molti anni con il Centro Espressioni Cinematografiche di Udine organizzando una serie di appuntamenti dedicati ai video musicali e spot chiamati VIDEOUNLIMITED. Ha realizzato una sua linea di magliette illustrate (UOLLI T-SHIRT) e partecipato a diverse mostre presentando il suo mondo in bilico tra reale ed irreale e costruito con le proprie mani con carta, lana, polistirolo e molti altri materiali creando scenografie incantate dove far abitare lo spettatore.

 

Cinema

All’Ombra della Mole Appunti sul 28. Torino Film Festival Quarta (e ultima) Puntata: and the Winners are… di Filippo Zoratti

 

All’Ombra della Mole
Appunti sul 28. Torino Film Festival
Quarta (e ultima) Puntata: and the Winners are…

di Filippo Zoratti

 

MIGLIOR FILM del 28. TORINO FILM FESTIVAL, Concorso Internazionale Lungometraggi:

 

-    WINTER’S BONE. UN GELIDO INVERNO (Debra Granik, Usa 2010)

 

Per le semi-deserte vie dell’ultimo giorno di festival (ma le fonti “ufficiali” e l’organizzazione parlano di un incremento di pubblico e incasso senza precedenti, chissà) la voce si è sparsa in fretta, ben prima della proclamazione ufficiale: ha vinto l’americano Winter’s Bone. A conti fatti la scelta migliore, perchè la storia della 17enne Ree alla disperata ricerca del padre scomparso per non perdere la casa in cui accudisce i due fratellini e la madre catatonica ha il respiro del grande cinema. Lo si è capito fin dalla prima visione: Winter’s Bone è un piccolo grande gioiello di anti-retorica, immerso in un dolente e disagiato realismo che non fa sconti e asciuga ogni orpello narrativo mostrandoci i fatti, punto. La tenace disperazione della sua protagonista (interpretata da Jennifer Lawrence, che si porta a casa anche il premio per la Migliore Attrice), l’omertà di un paese di montagna corrotto e morboso, la strategia del terrore innalzata dai vicini, l’insospettabile e truce muro della solidarietà femminile. Per Ree, moderna Cappuccetto Rosso in un mondo popolato di lupi cattivi, la risoluzione della ricerca sarà il doloroso ma necessario passaggio alla vita adulta. Una vita violenta e intollerabile, eppure senza alternative, unica via possibile per la sopravvivenza.

 

PREMIO DELLA CRITICA – PREMIO FIPRESCI:

 

-    SMALL TOWN MURDER SONGS (Ed-Gass Donnelly, Canada 2010)

 

Una sinfonia per immagini. L’opera seconda del canadese Donnelly non è una narrazione incorniciata da una colonna sonora, ma l’opposto. Del resto, il titolo parla chiaro. Quale potrebbe essere la miglior musica di sottofondo per un’indagine sull’omicidio di una ragazza avvenuto in un piccolo villaggio dell’Ontario? Un gospel-rock, ad esempio (interpretato dai Bruce Peninsula), potente ed evocativo trait d’union che sottolinea i volti (quello tormentato del protagonista Peter Stormare, quello intenso e malinconico di Jill Hennessy) e i paesaggi silenti e complici. La musica si (con)fonde con le immagini in slow motion, con le didascalie che quasi suddividono il film in capitoli. E senza rendercene conto noi spettatori scopriamo un mondo: scopriamo il passato travagliato del poliziotto Walter, scopriamo una comunità in cui nessuno può dirsi innocente, scopriamo una religiosità di facciata, che sotto la superficie nasconde demoni sopiti e pronti a riemergere. Ma soprattutto scopriamo l’impressionante originalità di questo Small Town Murder Songs, noir esistenziale che se da un lato ricorda Egoyan e i fratelli Coen, dall’altro li supera, mostrandoci qualcosa di mai visto, inaspettato e per questo ancora più sorprendente.

 

Gli altri Premi:

 

-    Premio Speciale della Giuria ex aequo a LES SIGNES VITAUX (Sophie Deraspe, Canada 2009) e LAS MARIMBAS DEL INFIERNO (Julio Hernandez Cordon, Guatemala 2010)

 

-    Premio per la Migliore Attrice ex aequo a Jennifer Lawrence (Winter’s Bone) ed Erica Rivas (Por Tu Culpa)

 

-    Premio per il Miglior Attore a Omid Djalili (The Infidel. Infedele per Caso)

 

-    Premio del Pubblico a HENRY di Alessandro Piva (Italia 2010)

 

-    Premio per il Miglior Documentario Italiano a BAKROMAN (Gianluca e Massimo De Serio, Italia 2010)

 

-    Premio Cipputi per il Miglior Film sul mondo del lavoro a LAS MARIMBAS DEL INFIERNO (Julio Hernandez Cordon, Guatemala 2010)

 

-    Premio Scuola Holden a WINTER’S BONE (Debra Granik, Usa 2010)

 

Filippo Zoratti

 

Cinema

All’Ombra della Mole Appunti sul 28. Torino Film Festival – Terza Puntata

 

All’Ombra della Mole
Appunti sul 28. Torino Film Festival – Terza Puntata

di Filippo Zoratti

Passato in rassegna anche il 16° e ultimo film in concorso – Henry di Alessandro Piva – non rimane che attendere i verdetti finali, ai quali seguirà l’anteprima di Hereafter di Clint Eastwood (qualche audace in questi giorni ha provato a far circolare la voce di una sua presenza a Torino, subito smentita), evento di chiusura del TFF in uscita nelle sale italiane a gennaio.

 

Unico lungometraggio italiano della competizione, Henry (voto 4 ½) è una scelta quantomeno curiosa, soprattutto alla luce delle mille polemiche passate e presenti (e future) sullo scarso valore delle opere di casa nostra portate in giro ai festival internazionali. Strutturato come un polizi(ott)esco, l’opus numero tre di Piva (girandola metropolitana di omicidi, scontri fra gang e faide per la conquista del mercato dell’eroina) soffre della (troppo spesso) solita “ansia da prestazione” italica: sceneggiatura elaborata e macchinosa spesso risibile, mix di recitazioni professionali e amatoriali, tensione verso il modello americano vanificato da provincialismi vari e pretesa di prendersi dannatamente sul serio. Uno sconclusionato buco nell’acqua, che chissà se vedrà mai la luce della distribuzione.

 

Gli assi nella manica calati prima della fine sono stati altri, nel ricco carnet proposto dal direttore Amelio e dai suoi collaboratori. Considerando che alla gara sono ammesse solo le opere prime, seconde e terze, vale la pena puntare forte su Small Town Murder Songs (voto 8) del canadese Ed Gass-Donnelly, che alla sua seconda regia ci regala un epico thriller costruito intorno ad una sorprendente colonna sonora gospel-rock e a evocative scene al ralenty; sul belga Vampires (voto 8), folle terzo lavoro dell’altrettanto folle regista Vincent Lannoo, strepitosa satira politica che mescolando documentario, b-movie e commedia inquadra la vita quotidiana della famiglia Saint-Germain, vampiri moderni annoiati dalla propria immortalità; e sul già menzionato (puntata numero 2 di questo diario di viaggio) Winter’s Bone (voto 7 ½).

 

E ancora altri scatti, altre istantanee che nel bene e nel male aiuteranno a farci ricordare questa 28a edizione: Jack Goes Boating (voto 7) di Philip Seymour Hoffman, che all’esordio dietro la macchina da presa dimostra attraverso la storia dell’ impacciato Jack di non temere il cinema sentimentale (laddove ben strutturato e non fine a se stesso) e di inseguire già un suo personale percorso classico; Burlesque (voto 5), tripudio di paillettes e visioni patinate con protagoniste le icone gay Cher e Christina Aguilera (un’icona anche in colonna sonora: Madonna), altra faccia della medaglia dell’iperrealista Tournée (voto 7 ½) di Amalric; la doppietta indie-pendente formata da Cyrus (voto 6) e Super (voto 6 ½) con l’irresistibile overacting di Jona Hill (il grassottello di Suxbad) ed Ellen Juno Paige; e infine gli incontri, quello con un al solito incontenibile Paolo Rossi (per la presentazione di Ridotte Capacità Lavorative, docufilm surreale sugli operai Fiat di Pomigliano d’Arco, voto 6+) e quello con Carlo Verdone, giovane 60enne amante di Fellini e della commedia all’italiana di e con Alberto Sordi.

 

Ed ora, a pochi centimetri dal traguardo, non resta che attendere e capire se dare o meno retta ai rumors dell’ultim’ora, che danno come favoriti il giapponese Last Chestnuts (critica), breve ma intensissima ricerca di un figlio da parte di una commovente e pudica madre, e The Bang Bang Club (pubblico), storia vera – ma assai romanzata – di 4 giovani reporter fotografici nel Sud Africa pre-Mandela martoriato dall’Apartheid.

 

Alla giuria capitanata da Marco Bellocchio l’ardua sentenza.

 

Filippo Zoratti

 

Cinema

All’Ombra della Mole Appunti sul 28. Torino Film Festival Seconda Puntata di Filippo Zoratti

All’Ombra della Mole
Appunti sul 28. Torino Film Festival Seconda Puntata

di Filippo Zoratti

 

 

A poco più di metà festival si può già iniziare a tirare qualche somma di questa 28a edizione. Il concorso ufficiale, ad esempio, ha forse tradito per ora le aspettative, regalandoci un unico vero “indimenticabile”: Winter’s Bone di Debra Granik (voto 7 ½), potente storia di violenze e desolazioni esistenziali già vincitrice del Sundance. Un film asciutto e anti-retorico, tutto caricato sulle spalle della sua protagonista Ree Dolly (Jennifer Lawrence), diciassettenne cresciuta troppo in fretta per necessità alla disperata ricerca del padre. Un noir, un thriller, una ricognizione dolente e spaventosa di un’umanità alla deriva. Un Gelido Inverno – questo forse il titolo italiano del film all’uscita in sala –  è fin d’ora in pole position per la vittoria finale. Anche perchè dietro a lui c’è un po’ il vuoto. In queste giornate abbiamo assistito a cocenti delusioni (The Bang Bang Club, voto 4), a lavori “medi” privi dello slancio necessario per farsi notare (Soulboy, voto 6) e ad opere troppo strambe e weirdo per poter aspirare ad un’ampia (eppure magari meritata) visibilità.


Winter’s Bone – Jennifer Lawrence
 

The Infidel (voto 5) parte bene e pare proseguire meglio, come una salace e corrosiva commedia yiddish a là Woody Allen. Gag da commedia slapstick e stereotipi culturali messi al muro, per parlare di un tranquillo padre di famiglia musulmano che scopre di essere stato adottato e di essere in realtà ebreo. Ma a scherzare col fuoco spesso ci si brucia, e il lavoro del regista Appignanesi finisce esso stesso per scadere biecamente nei più banali clichè e luoghi comuni del caso, con un happy zuccheroso ending che ci fa immediatamente dimenticare quanto di buono era stato costruito nella prima ora.

Per la categoria “bizzarro movies” merita di essere perlomeno menzionato poi il guatemalteco Las Marimbas del Infierno (voto 7). La vicenda di Don Alfonso suonatore di marimba (strumento a percussione tradizionale dell’America Centrale) che perso il lavoro fonda un gruppo heavy metal col figlioccio Chiquilin e col medico ex metallaro satanista Blacko è un tuffo nel grottesco e nel surreale, talmente assurdo da poter sembrare reale. La miseria della messinscena e alcune laconiche sequenze che sfiorano la Poesia (il pianto di Chiquilin, la scena finale) lasciano il segno. Las Marimbas è un outsider malinconico e senza speranza, che cresce col passare del tempo, sedimentandosi nella nostra memoria.

Meglio della gara nel suo insieme hanno fatto le sezioni collaterali. Prende quota in particolare il già menzionato Rapporto Confidenziale, incentrato sull’horror contemporaneo, che scopriamo essere amante della musica (Suck, voto 6 ½, venato di sarcasmo vampiresco e con le partecipazioni di Alice Cooper, Iggy Pop e Moby) e di inquietudini quotidiane verosimili e per questo ancora più terrorizzanti (Outcast, voto 7, per certi versi simile al capolavoro Lasciami Entrare).

E si fa strada anche la piccola ma sempre più seguita dal pubblico sezione Figli e Amanti, che ospita 5 registi e altrettanti film cult che ne hanno ispirato la carriera: L’Angelo Sterminatore (Saverio Costanzo), If… (Daniele Luchetti), Cineocchio (Dario Argento), Il Lungo Addio (Carlo Mazzacurati) e Lo Sceicco Bianco (Carlo Verdone).

Nota a margine: mentre tutto scorre il Torino Film Festival si ferma per un attimo e omaggia il primo dicembre Mario Monicelli, con la proiezione di I Compagni. Un omaggio doveroso, per un maestro della regia italiana che ha deciso di uscire di scena senza troppe parole e con orgoglio. Perchè ci vuole coraggio per andarsene in modo spettacolare.

Filippo Zoratti

Cinema

All’Ombra della Mole Appunti sul 28. Torino Film Festival Prima Puntata di Filippo Zoratti

All’Ombra della Mole
Appunti sul 28. Torino Film Festival Prima Puntata

di Filippo Zoratti

 

 

Sfogliando il (corposo) programma del 28. Torino Film Festival la prima cosa che balza all’occhio è la varietà della proposta. Un’eterogeneità intelligente, che accoglie dentro di sé una ricerca e una curiosità capillare verso i generi, i modi di fare cinema, il multiculturalismo spaziale e temporale.

I due anni di reggenza di Nanni Moretti (edizioni 25 e 26, quella del capolavoro Tony Manero di Pablo Larrain) hanno ridato lustro pubblicitario alla kermesse, che è un bene. Anche se ora il rovescio della medaglia è una minore risonanza e attenzione nei confronti del nuovo direttore Gianni Amelio. Ed è un peccato, perchè Amelio (assieme al vice direttore Emanuela Martini e ai suoi consulenti per la selezione Alberione, Bocchi, Grespi, Morreale, Pedroni) sta lavorando bene. Anzi, meglio, rispetto alle attese iniziali. Il suo TFF è indipendente e slegato dai giochi di potere, alla ricerca dell’autosufficienza e della maggior autonomia possibile per crearsi la propria nicchia e stabilire le proprie inconfondibili caratteristiche nel panorama italico.

 

A ben pensarci è forse proprio la lontananza dai riflettori, dal gossip e dai tappeti rossi – ripudiati in nome di più cinefili e colti “incontri” con registi e attori – a fare la forza di Torino, a renderla un’isola felice e autarchica (ricordando ancora una volta Moretti).

    

L’evento sabaudo apre col francese Contre Toi di Lola Doillon, dramma d’interni interpretato da una gigantesca Kristin Scott Thomas, e chiude con l’anteprima italiana di Hereafter, ultima fatica romantica ed inaspettatatamente sovrannaturale del maestro Clint Eastwood. In mezzo ai due estremi scorre il fiume, anzi i fiumi delle varie sezioni: Festa Mobile, sorta di “fuori concorso” che quest’anno ospita gli ultimi attesi lavori di Danny Boyle (127 Hours), Gregg Araki (Kaboom, già passato a Cannes) e Mathieu Amalric (il malinconico Tournée), oltre all’esordio alla regia di Philip Seymour Hoffman (Jack Goes Boating) e al già (s)cult Burlesque, con Cher e Christina Aguilera; Rapporto Confidenziale, focus sull’horror contemporaneo che partendo da Carpenter e dal suo The Ward indagherà le ultime derive del genere con The Last Exorcism, Outcast (dove il realismo sociale di Ken Loach incontra l’orrore), l’ironico Suck e Vanishing on 7th Street di Brad “uomo senza sonno” Anderson; Figli e Amanti, breve ripasso di Storia (storie) del Cinema, dal Cineocchio vertoviano al Lungo Addio altmaniano, passando attraverso L’Angelo Sterminatore di Bunuel e il recupero di If… di Lindsay Anderson, film sulla ribellione dei giovani girato in “presa diretta” (anno domini 1968); e infine le due retrospettive, dedicate a due maestri semi-dimenticati ma imprescindibili: John Huston (di cui invero basterebbe citare il trittico Giungla d’Asfalto, L’Onore dei Prizzi e Città Amara per capire la portata dell’evento) e il russo Vitalij Kanevskij.

            

Tutto ciò senza aver ancora nominato il concorso ufficiale, i 16 film in gara di cui avremmo modo di parlare più approfonditamente nelle prossime puntate.

Rimane allora una piccola riflessione, dopo le prime due intense giornate di festival. Per comodità o pigrizia mentale l’opinione pubblica è solita collocare il Torino Film Festival sul terzo gradino del podio delle più importanti kermesse cinematografiche italiane, dopo il blasone veneziano e il glamour romano. La questione, va da sé, è tuttavia più complicata di così, anche solo ragionando in termini di anzianità: perché l’appena nato (eppure già in gravosa crisi adolescenziale) festone di Roma dovrebbe valere più del solido e adulto meeting torinese? La verità è che Torino, guastafeste del trio e lontana dall’idea canonica di “festival”, della visibilità a tutti i costi se ne frega. La verità è che l’aria che si respira a Torino non è né migliore né peggiore delle altre; è un’aria “diversa”, non omologata, da outsider. Che a chi scrive sembra, di questi tempi, il miglior complimento che le si possa fare.

 

Filippo Zoratti

Cinema

28°TORINO FILM FESTIVAL

 

TORINO 28

È riservata ad autori alla prima, seconda o terza opera la principale sezione competitiva del festival, che presenterà 16 film di nuova produzione, inediti in Italia. Come sempre incentrato sul cinema “giovane”, il festival si rivolge principalmente alla ricerca e alla scoperta di talenti innovativi, che esprimono le migliori tendenze contemporanee del cinema indipendente internazionale. Nel corso degli anni sono stati premiati ai loro inizi autori come Tsai Ming-liang, David Gordon Green, Chen Kaige, Lisandro Alonso. Un cinema “del futuro”, rappresentativo di generi, linguaggi e tendenze: in questo senso, il documentario non sarà presente solo nel concorso specifico riservato ai documentari italiani, ma anche nel concorso principale.

Nel 2009, La bocca del lupo di Pietro Marcello (Italia) ha vinto come Miglior film, Crackie di Sherry White (Canada) e Guy and Madeleine on a Park Bench di Damien Chazelle (USA) hanno ottenuto ex aequo il Premio speciale della giuria, Catalina Saavedra in La nana di Sebastián Silva (Cile) il Premio per la migliore attrice, Robert Duvall e Bill Murray il Premio per il miglior attore per le loro interpretazioni in Get Low di Aaron Schneider (USA).

Premio del pubblico in collaborazione con Digima

Da quest’anno il pubblico del Torino Film Festival potrà votare il miglior film del concorso TORINO 28, inviando un SMS al numero +39 345 0448524 con la lettera che identifica il film, specificata nel programma di sala, e il gradimento (da 1 a 5).

http://www.torinofilmfest.org/

Dal Torino Film Festival Filippo Zoratti ci ha inviato le seguenti recensioni dei film e degli eventi:

 

 

Libri

Immagini in opera. Nuove vie in antropologia dell’arte

Immagini in opera. Nuove vie in antropologia dell’arte

a cura di Maria Luisa Ciminelli 2007, Liguori editore

9788820740993_0_240_0_0

  • Introduzione di Maria Luisa Ciminelli
  • Trash. Segni domestici della transizione
    di Donatella Cozzi
  • La prova del fuoco. Tecniche e significati di una tradizione ceramica contemporanea (Babessi, Camerun)
    di Silvia Forni
  • Giovani lupi dalle lunghe zanne. Metamorfosi dell’arte alla chefferie di Bandjoun (Camerum)
    di Ivan Bargna
  • Liberi di variare: il bogolan del Mali rivisitato dagli artisti contemporanei
    di Roberta Cafuri
  • Gelede: sotto il segno della maschera
    di Giovanna Parodi da Passano
  • Pratica e iconografia del disegno su sabbia tra le donne di Balgo (Australia)
    di Christine Watson
  • Il nodo nel Pacifico: immaginare il “corpo politico”
    di Susanne Küchler
  • Topologia dei nodi di Carlo Petronio Il pericoloso incanto
    di Mami Wata.
  • Usi locali e translocali di un’icona globale
    di Maria Luisa Ciminelli
  • Horror Vacui. Arte, spiriti e cognizione nel vodou degli immigrati haitiani a New York
    di Francesco Ronzon
  • La memoria della violenza nel retablo di Ayacucho (Perù)
    di Stefania Sebastianis
  • Il rimpatrio della “Poltach Collection” dei Kwakwaka’waku (Canada)
    di Barbara Saunders
Libri

Erranze plastiche. Il retablo: antropologia e storia del retablo andino

Stefania Sebastianis
Erranze plastiche. Il retablo: antropologia

 e storia del retablo andino

2002, Cisu

Si commette un errore quando, rassegnati, siErranze_plastich_4abb71a8f0e23

prefigura un destino infausto per l’arte popolare. Inseguendo il lavoro dei retablisti peruviani e la loro incessante ricerca di adattamento, si incontra la verità Florentino: “La vera essenza dell’arte del retablo
era (è) quella di documentare costantemente una realtà in evoluzione, di rappresentare plasticamente l’attualità”. Il volume presenta la storia di un suggestivo oggetto d’arte popolare e delle famiglie di artigiani che l’anno inventato e reinventato, facendosi eredi di una complessa combinazione di tradizioni plastiche e simboliche. Dalla sfera sacrale al consumo dell’etnicità; dai sanmarcos per l’herranza (l’antica festa per la marchiatura del bestiame) ai coloratissimi retablos che arrivano fin nei mercati e nelle fiere d’Europa; dall’artigianato tradizionale che utilizza ancora i sistemi simbolici precoloniali ai progetti per fare dell’artesania un settore di sviluppo e di traino dell’economia peruviana, fino al drammatico dilemma che si presenta oggi all’artigianato di tradizione: farsi artista, oppure piccola ruota dell’ingranaggio eterodiretto del mercato turistico che consuma forme di reinvenzione seriali e steriotipate. Di fronte alla richiesta di tipico, di autentico, di originale, ecco il retablo -forma intrinsecamente “impura”- a rompere la dicotomia troppo semplicistica tra tradizione e modernità. Così è anche l’artigiano retablista: “uomo di mezzo”, specialista del cambio transculturale, modellatore delle situazioni di contatto.

Cinema videomaker

Souleymane Kane – Il dentista

 

Il dentista

Ospitiamo l’ultimo corto del filmmaker Souleymane Kane intitolato Il dentista.

Un dentista fa dei lavori ad un prezzo molto conveniente, ma ben presto i suoi clienti scopriranno il caro prezzo della convenienza….

Souleymane Kane nasce a Brazzaville nel 1988. Vive e lavora a Udine.

Cinema

Le Quattro Volte

Le Quattro Volte
di Michelangelo Frammartino, Italia 2009, con Giuseppe Fuda

 

Polvere alla polvere, nel bicchiere di un vecchio pastore.
Cenere alla cenere, ciò che resta del carbone quando brucia.

Eppure nel secondo lungometraggio di Michelangelo Frammartino, vincitore del premio Quinzaine al Festival del Cinema di Cannes 2010, la fine non è mai definitiva. È qualcosa che ritorna, in quel moto circolare che è il tempo e il respiro del film: come la tosse che avvicina la morte e la avversa, il belato del capretto perso nella neve, i colpi che abbattono l’albero e la pala dei carbonai. Le quattro volte è un film di rumori ostinati, in cui i suoni raccontano e lo fanno meglio delle parole urlate di troppi film italiani.
È un film del ‘noi’ e dell’ ‘intorno a noi’. Quattro vite e una sola, con al centro l’uomo. L’umanità indagata per assenza, nel suo tentativo di modificare il mondo per esserci: davanti e dietro la macchina da presa, nei piccoli centri della Calabria ionica e in sala, dove lo spettatore partecipa all’attribuzione di senso, fruitore ultimo di un percorso nei quattro regni dell’anima (razionale, animale, vegetale e minerale, secondo la teoria pitagorica). La morte è uno spazio tra i capitoli, mai privo di suoni. Luogo-placenta di trasformazione e rinascita.
Dopo Il dono, Frammartino consegna al pubblico un’altra pellicola di pregio. Vicende tenere e dure, i giochi da bambini dei capretti e la metamorfosi barbara e rituale dell’abete in albero della cuccagna (in occasione della tradizionale festa della pita). Una ricerca accurata di immagini e suoni, rapite al caos assordante del mondo e ricomposte. Un linguaggio che mostra senza dire.
Tra i piani sequenza, indimenticabile la scena del cane e del camioncino! L’inquadratura oscilla come se l’occhio dell’osservatore volesse trattenere tutto ciò che accade, senza riuscirvi, mentre la processione arriva inesorabile, in caduta libera. Il regista non si perde nella contemplazione estatica del paesaggio; al contrario, costruisce una storia terrena, ancorata al suolo. Il movimento verso l’alto è destinato a scendere: dall’uomo al fumo del carbone nell’aria, e di nuovo alla cenere, alle case, ai rituali di vita e di morte. Un percorso narrativo più che poetico, che parte dalla terra e alla terra ritorna. E per quattro volte, il cuore si ferma e riparte.

Chiara Zingariello
Secondo Premio a Ring! 2010
Sezione Recensioni