TFF 2013 Seconda Puntata: alla ricerca dell’autorialità (perduta?)
di Filippo ZorattiCom’era facilmente intuibile, l’attenzione del popolo cinefilo presente al TFF è stata quasi del tutto assorbita dalla sezione “New Hollywood”. La retrospettiva, fortemente voluta dal neo-direttore Paolo Virzì, non ha solo ripercorso tappe fondamentali della cinematografia americana già conosciute, ma si è soprattutto concentrata su opere ormai introvabili, ripescando autorialità colpevolmente dimenticate: “Un uomo a nudo” di Frank Perry, “Bob & Carol & Ted & Alice” di Paul Mazursky, “Medium Cool” di Haskell Wexler, “Electra Glide in Blue” di William Guercio… Ci sarebbe voluto un festival a parte, anche perché spesso nell’inevitabile gioco ad esclusione la preferenza rivolta alle prime visioni non è stata premiata. Deludono cocentemente “C.O.G.” (oltretutto in concorso), il canadese “Blood Pressure”, la commedia rosa “Enough Said – Non dico altro”, ultimo lavoro di James Gandolfini, “Luton”, ennesimo capitolo del Rinascimento artistico greco.
La lista è più lunga, ma forse vale la pena sottolineare ciò che di questa 31a edizione sarà bene ricordare. In cima alla lista i pesi massimi, ovvero gli autori già conosciuti ai quali rivolgersi a colpo sicuro. Spulciando il programma non ci siamo lasciati perdere Noah Baumbach (“Frances Ha”); “Inside Llewyn Davis” dei fratelli Coen, film denso di malinconia e umorismo; l’atteso “Only Lovers Left Alive”, anomalo vampire movie diretto da Jim Jarmusch, “La danza de la Realidad” del redivivo Jodorowsky, che torna alla regia dopo ben 23 anni. In poche parole: che si guardi al passato o al presente della cinematografia mondiale è cosa buona e giusta
rivolgersi ai grandi autori. E in fondo è proprio questo uno dei rischi maggiori di un festival che si propone come oasi per i nuovi registi, considerato il fortissimo interesse per le opere prime e seconde (che per regolamento sono le uniche a poter rientrare nella gara ufficiale): quello di creare una insanabile cesura fra novità e recuperi. Nel corso di un’intervista rilasciata qualche mese fa, il direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia, Alberto Barbera, sosteneva che non sono i film a scegliere i festival, ma che sia solo una questione di tempistiche. Se la pellicola è conclusa a febbraio andrà a Berlino, se lo è a maggio passerà a Cannes, se lo è a settembre andrà a Venezia, e così via. Un ragionamento che riaccende l’aperto scontro fra Torino e Roma.
L’ingombrante evento capitolino si colloca pochissime settimane prima del Torino Film Festival e mai come quest’anno la sensazione è che il nuovo taglio “istituzionale” voluto da Muller abbia sottratto linfa vitale alla kermesse sabauda. Film quali “Her”, “Dallas Buyers Club”, “Tir” di Fasulo (vincitore del Marc’Aurelio d’Oro) sarebbero di sicuro passati a Torino, se solo Roma avesse deciso di collocarsi in un altro più consono momento dell’anno. Tralasciando i discorsi sulle differenze di budget (8 milioni per Roma, 2 e mezzo per Torino), la scorrettezza di fondo appare lampante. Battendosi per confermare il proprio posto alsole nel panorama saturo dei festival nazionali, Torino ha fatto dinecessità virtù. E anche se il compito è di anno in anno più arduo, i risultati del titanico sforzo si vedono. Meritano di essere almeno menzionati il già pluripremiato “Pelo Malo”, il quotatissimo “La battaglia di Solferino”, lo spagnolo “La Plaga”, l’italiano “Il treno va a Mosca” e il revenge movie “Blue Ruin”. Si può parlare di passato (le retrospettive) e presente (gli omaggi ai grandi contemporanei), ma Torino nella sua continua attività di ricerca fa qualcosa di più: osserva il futuro del cinema.
Filippo Zoratti